sabato, agosto 3

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Buongiorno Occhibelli,

come te la passi al fronte? Mi hai mandato tre buste prima della mia risposta e quanto è vero il santissimo iddio la prossima volta che lo fai non sono non ti scrivo ma ti vengo a pigliare a ceffoni dritta a Timisoara, gambe mozze o meno, intesi? Ti alzo da terra altri dieci centimetri.

Qua le voci dell'indipendenza del Polaris sono arrivate dopo la tua lettera (era la terza) e noi di Oracle l'abbiamo saputo per primi in tutta la Monterey, ancora prima di Valladolid e Maricopa. 

A Rio hanno trascinato tre sciacalli blu fuori da un saloon e li hanno ammazzati per strada a bastonate davanti a tutti, fino a fargli sparire la faccia a sprangate e sputare l'anima dai denti (Dio li perdoni se non hanno un'anima). Ma la cosa meglio è quello che è successo dopo, Occhibelli: quando hanno acchiappato i nostri e li hanno tirati sul cargo per Fargate, la gente di Rio è andata con le pietre. Con le pietre. Alla fine i nostri li hanno caricati lo stesso, però giuro sulle scarpe buone che una cosa del genere non si vedeva dal 'dieci. E tu lo sai. Erano tantissimi, pienavano tutta piazza Trafalgar. E urlavano 'viva la Confederazione', 'Rio Verde o morte'... ci volevo essere, ma in queste condizioni spostarsi non è semplice. I nostri finiti alle sbarre (e il Signore ce li ha in gloria tutti e tre) sono dei ragazzini che la guerra non l'hanno mai vista, Occhibelli. Capisci? Avevamo ragione noi. Il sangue della gente del meridione è come l'olio delle candele e non lo spegni mai, non lo pulisci mai dopo che lo hai sparso. La situazione è tornata muta, ma Esther (te ne parlai la scorsa volta) è stata per le strade di Waveney: dice che le finestre dei ragazzi sono circondate dai fiori della Pianta del Miracolo, e sulla terra hanno appoggiato sassi e pallottole. Mi ha detto anche che tutte le sere, sotto casa dei ragazzi, c'è gente che suona il Canto fino tardi. 
Call mi racconta che pure a Yuma sono usciti dei casini grossi, gli sciacalli sono stati costretti a mandare squadre dalla Cruz, però non è stato capace di dirmi per bene cosa è accaduto, di preciso. Nella merda in cui sta già è molto che riesce a infilare tre parole in riga, e già è troppo se accetta di parlarmi una volta ogni tanto. Sai anche questo. Sto provando a piazzargli un calcio sul bel culo che si ritrova per spedirlo nel Polaris a rendersi utile a voi e specialmente a se stesso, ma non è semplice, Renee. Dovrei prima levargli la bottiglia di mano, sciacquarlo con l'acqua benedetta e convincerlo a dare un bacio alle bambine che non guarda in faccia da più d'un anno. Vedessi come sono belle e come somigliano a Miriam... Il tiratore migliore di Blackrock, era, ed era anche il padre migliore di questo buco dimenticato dal cielo. Adesso rischia di prendere fuoco ogni volta accende la maledetta cicca, con tutta la tequila che tiene in corpo. 

Di Jomi non so nulla. E non è vero che non voglio parlarne, semplicemente m'ero scordata, va bene? Posso scordarmi anche io qualcosa ogni tanto, mica riesco a tenere in testa tutto, sempre, per voialtri disgraziati. Quello stronzo poi non si merita niente, se davvero c'ha tanta fretta morire s'accomodi, non possiamo stargli dietro più di così, non posso proprio, Occhibelli. Non me ne frega. E non dovrebbe fregare manco a te. Lo so che pensi, pensi che ha combattuto, che gli vogliamo bene e tutto quanto... ecco, io non gli voglio bene, invece. Deciso. Ho combattuto pure io, cristo santo, mi sono fottuta le gambe ma sto sempre in piedi. Tu non hai combattuto forse? Guardati. Non hai perso tutto quello che hai perso, senza perdere un solo giorno di lotta? Quando vado in giro e parlo di te, sento di te, la gente mi mette le ali ai piedi, Renee, sto con la testa così alta che annuso la cima al Cantilever. Quattro spanne da terra. 

Falla finita di dire che era il tuo dovere o roba simile, Bolivar, falla finita di credere che sia così scontato, che è quello che fanno tutti. Apache è una storia di entrambi, tua e di Mitchell. Mi dispiace se non ti va che ne parlo, ma è quello che penso.


Basta scrivere di cose tristi, non sono ore per le cose tristi.
Tutti i pacchi che hai mandato sono spariti in un baleno (a parte i soldi, Occhibelli, quelli ti spedisco separato dove vanno a finire elencato per bene). Dovresti vedere le sigarette. Si sono picchiati, manca poco, peggio dei galletti. C'è il ragazzino dei Dallas che dorme col pacchetto in tasca. Ma di dove erano, con quel nome là? Lo skyplex, no? E dovresti vedere quando gli leggevo di Hell Point, o come diavolo si chiama: tutti rincretiniti. Ti infilo pure la lista di domande che m'hanno scritto i mocciosi, così almeno gli rispondi tu, che mi guardano malissimo, come ti facessi un torto, quando non so le cose a proposito della tua incredibile vita. Metà delle ragazze qua al Paradis non ti conosce nemmeno e tutte mi si sono innamorate di te. Ti mancasse da sposarti, c'è l'imbarazzo della scelta. Constance vuole pure chiamare la creatura Bolivar. Le sto spiegando da settimane che Bolivar non è un nome. Farà come le pare. Speriamo non nasca scema come lei. 
Non ti riassumo nemmeno quando s'è saputo della nave, di Ronvaldar e di tutto il resto. I coats cui parli. Quel Vandoosler mi piace a naso, ha un modo dritto di vedere il 'Verse. Non ci trovo niente di male a chiamare tutti fratelli e sorelle. Ci sta che siamo tutti fratelli e sorelle, pure coi fottuti sciacalli: io ce le ho avute delle sorelle di merda, dopo tutto. E tanta gente c'ha dei fratelli di merda, mica vuol dire per forza che se sei fratello di qualcuno gli devi voler bene, Occhibelli. Dagli due sberle la prossima volta che si buca di quella roba e digli che gliele manda Clementine, la regina delle puttane. 
La dottoressa di Spartaca non mi stupisce dopo che mi raccontasti degli spartacani al fronte della Valle Grande, con Santiesteban (la Madonna lo abbia in gloria). E dici bene tu: un posto dove i deserti sono freddi, sono all'incontrario, non può fare gente calda e dritta. Però se è vero che addestra le aquile deve averci un bel paio di palle, lascia perdere. Addestra le aquile e ti tiene buono. Lascia perdere. 
Cortes è la bionda? Buttaci un occhio che quella secondo me è furba. Te dici di no, ma io le capisco, quando sono furbe. Lo capisco prima che lo capiscano persino loro, di essere furbe. Il suo uomo l'hanno ammazzato nel cemento e se ti ricordi è morto come quel ragazzetto di Peach Springs, nel silos della farina. 
Ad Hale vorrei piazzargli un bacio in fronte.
Non ti spiego nemmeno perchè. Lui capirebbe, mi sa. 
Il fatto che sull'ammiraglio Rooster c'hai speso tutto quello spazio mi mette indecisa tra scriverne un sacco o non scriverne per niente. È un bel tipo. Da quello che racconti, certo... da quello che racconti è pure più d'un bel tipo. Quando lo dicevo io, che le donne possono fare i comandanti, possono mettervi in riga, mi prendevate per il culo. Ora guardati. T'ha lavato la testa col miele, da quanto sei contento di farci il soldato. Vorrei fissarti nel muso, Renee Bolivar; mi servirebbe di fissarti nel muso, adesso... Insomma, lasciamo stare. Facciamo che le stringi la mano da parte mia, se a un'ammiraglio si può stringere la mano, non so come funziona. Bisogna che dica di queste donne così alle galline del Paradis, magari si inventano una dignità. Gli volessi meno bene a tutte quante le sbatterei fuori domattina. 

Mi domandi come sto. Sto bene, alla fine. Ci sono giorni in cui per alzarmi dal letto devo ricordarmi quando ancora ballavo e giorni in cui per alzarmi dal letto devo dimenticarmi che un tempo potevo ballare. La vita va strana, Occhibelli.
Mi manchi, e ti direi di non montarti la testa, se non sapessi già quanto non sei proprio capace di darmi la soddisfazione da femmina di montarti la testa per me.
Quando c'eri tu che mi caricavi in spalla era più facile, a parte le volte che ti facevi ingabbiare o rischiavi di ammazzarti. Ma ti preferisco dove sei, perchè ti sento, lo sento che sei più felice. Sei proprio felice dopo tanto tempo. 
Qua tutti ti pensiamo quando dobbiamo pensare a qualcosa che funziona, a qualcosa di bello e di buono. Portaci in petto, sceriffo. 
Ti mando un abbraccio, Occhibelli. 
Il tuo browncoat con le strisce ed una cassa piena di Tequila. 
Brindaci alla vittoria. 


Clementine. 



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Assieme alla lettera di Clementine, Bolivar riceve una cassa. Aveva chiesto il browncoat, il suo, quello della blackstriped company di Estebàn. Gli hanno mandato un baule da venticinque chili e rotti. Impiega una nottata a aprirlo, tra l'attesa per trascinarlo alla nave ed una bevuta fuori programma con Hale, in cambusa, silenziosi (uno fisso, pensoso, l'altro irrequieto, fuori posto).
È un giorno che va tutto bene, che è andato tutto bene. Attorno al finire di luglio.
Nella cassa, trova un sacco di cose. Un sacco di casa:

  • Il browncoat con le bande nere, tenuto in grazia di Dio. È avvolto in una coperta di lana grezza a motivi geometrici di colori diversi, bianchi, rossi, verdi e blu, come usa dalle sue parti. Una bella coperta. 
  • Nove bottiglie da un litro di tequila ciascuna, una tequila ambrata, ma limpida. Anche le bottiglie sono avvolte in una coperta ruvida, abbastanza simile alla precedente, dai motivi differenti, dalla fattura simile. 
  • Tre barattoli di Miele del Miracolo, il liquido denso che si spreme dalla Pianta del Miracolo, sarebbe a dire l'aloe dall'interno dell'agave.
  • Un involto di stoffa umido (ancora umido!) con dentro una foglia di agave intera, verde, piena, appena mangiata ai bordi dalla mancanza di luce.
  • Una mappa di Blackrock, lunga un metro abbondante, tracciata su pergamena opaca, di fattura poco raffinata.
  • Un paio di libri, voluminosi entrambi
  • Una risma modesta di fotografie consumate
  • Scorze di limone essiccate, pesche essiccate, marmellata di more, marmellata di fichi spinati (*che sarebbero, poi, i Fichi D'india), marmellata di cedri, tre bottiglie di vino forte. Una busta di zucchero (!). Un mazzo di peperoncini. Arachidi, un sacco. Burro di arachidi, cinque barattoli. Altri generi alimentari. Neanche morisse di fame e di sete. 
  • Un acchiappasogni di piume (nessuna di aquila) composto con alcune trecce sottilissime di capelli veri, alternate a nastri e crini di cavallo (anch'essi intrecciati). Tre o quattro rose del deserto, una grossa quanto un pugno umano.
  • Due maglioni. Una sciarpa. Un cappello. Evidentemente ogni luogo lontano da Blackrock è un luogo freddissimo, nell'opinione diffusa.
  • Una cintola, un paio di anfibi (il suo paio di anfibi), una camicia più o meno nuova.

giovedì, agosto 1

Knockout


+ Timisoara, Bullfinch | 26 Luglio 2515

 

«Andiamo da qualche parte»

È un buio espanso. Un alone bianco, luminoso, propaga in cerchio dentro al buio, come le tracce salate lasciate dal sudore fresco sulle lenzuola.
Le lenzuola odorano di sapone. Hanno una consistenza pura e rigida. Le lenzuola. Sono bianche. Capelli neri su lenzuola bianche. Schiere di lenzuola distese contro il giorno bruciato di Apache. I capelli neri di Jack sulle lenzuola bianche della locanda. Li ritrova in un'istantanea acerba, ripassano i contorni delle vene quando stringe le palpebre, avvampano. Scompaiono quando solleva di nuovo le ciglia, nel sapore del tabacco di Bullfinch. Misto a ferro giovane. Lui non fuma. Ha un labbro spaccato. La traccia rossa delle labbra di Clem sul filtro della sigaretta. Non sono le labbra di Clem quelle che avverte impresse nel rovescio del petto.
Il bianco, il nero. Il nero. Il rosso.
La coscienza torna.
Lo sveglia.
Le candele sono spente.
Fa più scuro nel mondo reale, è più scuro il soffitto della locanda che la volta interna della testa: quegli spazzi onirici da cui Renee emerge di schianto, sul ciglio friabile d'una bolla dolce e dolorosa. Un colpo di tosse, un colpo di ossigeno. Sfrega la nuca sul cuscino.
I grilli cantano anche nella pioggia. I grilli, nella pioggia cantano più forte. Fili di fosforo e luna. Fili di fosforo e luna. Dov'era? Lo ha letto da qualche parte. Cos'è il fosforo? È bello, fili di fosforo e luna. Cos'è il fosforo, non lo sa. Un velo fresco sciaborda nella stanza, la risacca estiva riempita di grilli,  pioggia e forza. Fosforo. Certe parole suonano. Fosforo. Shenandoah. Un fiume di Shadetrack, vicino Sweet Waters. Il Rio Orinoco, lo ha trovato mentre dormiva. In sogno. Il fiume segreto che scorre sotto al Cinòber orientale di Blackrock, sotto al deserto, sino al mare. Nessuno mai ha incontrato le fonti. Sotto al deserto. Il fiume esiste. Una questione di fede. Sei un uomo di fede, Bolivar? La storia del fiume sotto al deserto. Ricorda di esserci arrivato dal ranch della Carmichael (nel sogno Blackrock non era Blackrock), scendendo in basso, una caverna enorme. La voce dei grilli, migliaia di farfalle verdi, l'acqua blu dell'Orinoco sciolta di luce dall'interno. In sogno trovava l'Orinoco, stanotte; e ci annegava. Stanotte trovava il fiume sotto il deserto. Ci affogava, ma non era spaventato. Si affogava, ma era felice.
Affogare: pezzi di sangue nel naso gli chiudono i polmoni. Tossisce un sorriso. Sente la pelle della faccia così distante dalle ossa della faccia, separata dalla faccia. Tocca i lividi. Il senso di tanti piccoli insetti con le zampe intinte nell'acido. Soffia una risata; strofina il muso pesto. Comprime il dolore tra il palmo e la fronte sudata. Stacca le dita al soffitto. Fissa una zona fra le falangi, muovendo le nocche a carezzare l'ombra. Allarga, stringe. La linea del cuore. La risata ha un frullio vivace, si disperde in uno scarto da puledro scosso. La linea dei suoi fianchi. La linea della vita. La linea della sua vita, dopo i fianchi. Lei è vicina, addormentata. Doma i cavalli selvatici (le sue gambe strette attorno). Bolivar trasale, raschia un angolo fresco del materasso. Raschia la gola. Ne ha bisogno. Azzanna la ferita sul labbro, cerca il gusto del sangue. Scatta seduto. La testa benedetta dal temporale pesa, duole, ciondola verso le ginocchia. La luce di latte bagna i muscoli sotto la carne, fonde una scintilla sopra al crocifisso. Renee ingolla. Prende fiato, gratta la nuca sudata.
Pensa a Momic.
La pagherà, sconterà ogni piede di terra sul corpo di Patrick, pagherà per lo sputo, lo stupro, per la sofferenza senza onore, senza verità che semina attorno a sé come sale nei campi, come il veleno delle wastelands.
(Le wastelands... vorrebbe voltarsi a guardarla e non si volta)
Pensa alla Confederazione.
Polaris libero. Ed è solo il principio della libertà, è solo il prologo di qualcosa che non possono fermare. Toccherà a Columba. A Shadetrack. Toccherà a Dao. A Blackrock. Ci riprenderemo tutto. Cento, mille volte se necessario. Ne ammazzino cento dei nostri, mille verranno dopo. Perchè loro hanno un esercito; ma noi siamo un esercito. Finchè occuperete le terre dei padri, dalla terra dei padri nasceranno soldati. Nasceranno dal sangue perchè è il sangue a chiamarli, a muoverli, come un tamburo. Ancora e ancora. Il miglio decisivo.
L'indice, il medio tastano la catenina d'oro. Dalla catenina, si tuffano sulle cicatrici al basso ventre. Strofinano i bordi, le regioni invisibili di una guerra aperta, una guerra da vincere. La guerra che vinceranno.
Accucciati alla parete di fronte, grappoli sparsi di vestiti fradici. Le pistole. Il jackhammer.
Pensa alle armi, ai fucili, al piombo calato in mezzo alla loro esistenza, le canne del revolver di traverso alla vita. Una vita in cui ti disarmi prima di andare a letto, ti disarmi prima di sedere a tavola, prima di entrare in chiesa, prima di lavarti. Ti disarmi prima di fare l'amore.
Si volta.
Jack dorme.
Le lenzuola bianche contrastano con il corpo scuro di Rooster, le curve di stoffa accompagnano quelle della pelle. Bolivar recupera ossigeno, una botta di cuore approfondisce il respiro gli raschia il torace dall'interno. Fosse un cane, adesso isserebbe un orecchio in alto, ammainerebbe l'altro a scandire quell'aria di eroica, impaziente ammirazione stupida. Nonostante i lividi in faccia , Bolivar sta bene. Sta così bene... E questo 'bene' da qualche parte gli fa male, un male puro, pieno di cose ignote, inesperte e vive. Territori sconosciuti. Provoca quel male come istiga il labbro a sanguinare, come provocava i tori, i cavalli aggressivi. Sporge la fronte per fiutarle il viso dentro ai capelli neri.
Deve toccarla. Deve stringerla. Deve...
Trasale, contro l'agguato della coscienza. Butta il profilo alla finestra. Ficca dieci dita contro milioni di nodi in testa, le spreme sul muso. C'è qualcosa di... sbagliato nel guardare qualcuno addormentato. Qualcosa di scorretto. Di pavido. Guardare mentre non può guardarti, mentre non può difendersi.
Allenta i nervi, le scapole battono sul materasso, che sobbalza per l'impatto. Renee ruota di slancio il muso a destra, per controllare di non averla svegliata. O forse no, forse controlla se magari è sveglia... magari lo fosse... poi ricorda: qualcosa di sbagliato, qualcosa di scorretto e di pavido. Punta il naso con insistentza al soffitto.
Stringerla e...  
Incrocia le braccia dietro la nuca.

Un mugolio arrochito si schiude a poca distanza da lui. La traccia scontrosa, ma sincera di una risata bassa percorre il rimprovero da parte a parte.
«Buon Dio, Bolivar»
Jack si volta, una frana gloriosa di ciocche nere le carezza le spalle. Il rocker ingolla il verde dei suoi occhi d'un sorso solo e  quei capelli che scivolano gli scivolano diretti sopra ai nervi
«sta' fermo»
Lui  prova a parlare. Non fa in tempo, non riesce.
Rooster si avvicina, gli scorre una mano di colpo sul petto, gli chiude la spalla in una presa presente, pronta, nonostante il sonno interrotto. Spinge la testa contro il collo di Renee, ce l' appunta in una mossa spiccia, decisa. Serra l'abbraccio, intorno alla sua mancanza di quiete.
Bolivar impegna qualche momento a recuperarsi vivo.
Poi le circonda forte la schiena, le fruga a caso la fronte con un sorriso sconsiderato. .

«that's better»
La voce di Jack struscia sulla pelle di Renee, sul dorso d'un respiro stanco, ma leggero.



sabato, luglio 6

Wildcalling



+ Almost Home, Polaris Rim Ring, 6 Luglio 2515


Renee è sudato fradicio quando entra in cabina. La tensione del lavoro s'è affiancata a quella emotiva, in una doppia trazione micidiale. Sfila il mauler, la cinghia abbarbicata addosso, incastrata nella fretta serrata, simile ad una serpe accanita. Scaraventa il fucile sul materasso. Butta la maglia umida di sudore per terra, come il pescatore che sfracella il polpo sullo scoglio (sicuramente Bolivar penserebbe questa immagine se avesse maggiore dimestichezza col mare). La stanza è vuota. Andrè presidia in sickbay. La nave presidia se stessa da qualcosa che a stento Renee comprende, una minaccia remota. Non può decifrare l'accaduto ma fiuta lungo i corridoi la realtà appesantirsi, deformata da una piena sull'orlo dello sbocco. Affronta tutto con coraggio, Bolivar... incluso questo, ma, sul serio quello che non si fronteggia con un fucile, o con una raffica improvvisa, quello che impiega giorni, ore a prenderti alle spalle.... Ingoia; lo spiazza.
Trascina le dita tra i capelli ruvidi, agitati dai nodi. Lo strattone con cui li aggredisce è violento, eccessivo, scorta i passi nervosi che il rocker semina a caso sul pavimento. Il respiro sposta fronti lucidi sul corpo allenato, muove le tre cicatrici marchiate a fuoco, dal fuoco dei proiettili, dentro l'addome contratto. Il respiro graffia di luce trasversale il petto ed il crocefisso, nel centro, poggiato su una stretta chiazza di pelo castano. Entrambi i palmi chiudono la faccia; strozzano il blu verticale, limpidissimo dello sguardo liquido, le labbra asserragliate attorno ad un dubbio selvaggio. Gli sfugge lo spirito dello sguardo, gli sfugge la piega della bocca, come un pesce in euforia pre-soffocamento. 
Il moto incessante a cui si sottopone è la risultante di altri moti inestinguibili (perchè tutto il moto si conserva, nonostante Renee lo ignori): le forze primarie dell'impotenza, dell'aspettativa, della confusione, dell'inadeguatezza, dell'euforia, del rammarico, della consapevolezza, della rabbia, della premura stupida, si contendono il cuore semplice di Bolivar;  un cuore semplice, vuoto di labirinti. Potresti traversarlo, cavalcare da un estremo all'altro per giorni, mesi senza incontrare un ostacolo. Una sola minaccia.
Strofina le gote, strofina gli zigomi. Strofina, strofina, per cancellare il viso come si cancella un'orma traditrice sulla rena. Butta i palmi alla parete. Ci poggia il peso. Preme la testa sullo sterno, il neon gli snocciola le vertebre, pettina la forza piena oltre la carne. Bolivar prende il respiro, Bolivar rende il respiro. Vorrebbe impilare cinque quintali di sabbia. Vorrebbe arrampicarsi allo zenit di Tribeca Point, correre dietro ad Aramis costeggiando il Potomac. Vorrebbe tirare un pugno a qualcuno. Tirarsi un pugno. Scaricare quattro caricatori di fucile dentro un blocco di pietra. Nuotare contro corrente le rapide del Mojave. Vorrebbe scopare, cristo santo. 
Tossisce. Spinge via la paratia, molla i polsi a dondolare lungo i fianchi asciutti. Rovescia il peso seduto sulla branda di Vandoosler. Tergiversa. Si sposta sulla propria. Resta fermo sei, sette secondi. Otto secondi ed è in piedi.

"Noi prendiamo ordini dall'alto comando nella persona dell'ammiraglio Renshaw, che prende ordini a sua volta dal generale John Grizzly Roscoe. Non sono qui da ieri. Io e Wright non siamo qui da ieri"

Pressa i polpastrelli alle tempie, in un caotico incidente di vene pulsanti.

Avresti voluto dirglielo. Dovuto.
Era fiducia, quella Bolivar. Era fiducia, totale. Totale. E tu... tu boccheggi, ti trascini con le unghie su una parete verticale tra lo stomaco e i polmoni. Avresti dovuto e voluto, voluto dirglielo. 
Che sei cresciuto tra la merda di vacca e di cavallo, immerso sino ai gomiti nella sabbia del meridione animale di Blackrock, spezzandoti la schiena per cinque pesos al giorno; che in guerra hai schiantato il calcio del mauler nel cranio al nemico molto prima di sapere come diavolo si facesse a fare fuoco in modalità automatica. Avresti voluto dirle cosa significhi dopo un anno nella miseria umana delle Hills, dopo centinaia di bicchieri alla strenua salute di Roscoe inghiottiti nei peggiori buchi di Kemmerer Mine, nei peggiori momenti della tua vita, sapere che tra te e Roscoe rimane solo un filo concreto di ordini telegrafici. Roscoe, quel Roscoe; e te. Renee Bolivar. Il soldato-poco-addestrato di Apache, di un pianeta in ginocchio, il settantaduesimo uomo della Blackstriped Company agli ordini di Juan Carlos Santiesteban. 

È un privilegio, Jack; poter combattere per la mia terra una guerra che la mia terra non può combattere per sé stessa. La guerra vera. Il miglio decisivo.

Inghiotte. Respira. Stringe il crocifisso nella destra; non sa quando è avvenuto, non si ricorda di aver ordinato alle dita di raggiungerlo.

Una responsabilità. Un onore. Dare ad un essere umano l'opportunità. La fiducia. La verità. Avresti dovuto dirglielo, ma non hai l'eloquenza scaltra di Vandoosler, la logica ragionevole di Mordecai, la saggezza pronta di Hale. Tanta gente che conosci dice il giusto al giusto momento. Tu no. Mai. Perciò boccheggi. E quella parete verticale tra lo stomaco e i polmoni brucia più sforzo di Prayer's Peek. 

La gratitudine selvaggia del lupo dibattuto in anni di catene a cui si regali d'improvviso un bosco sconfinato: un giorno, senza parole, senza pretendere spiegazioni, trascinerà fuori dal ghiaccio una slitta di mezza tonnellata. Ai tuoi piedi. 
Questo sei, Renee. Quel lupo. Come nel libro (una metafora!)

Il libro. 
Renee si blocca. Gli occhi accendono la faccia, asciugano il dubbio in una vampa albeggiante. Inizia a frugare tra i cenci, tra i disegni, tra i bossoli, i peli di Thiago. Il libro, il libro, il libro. Eccolo. Lo serra gelosamente tra le mani. Lo strofina con veemenza affettuosa. Si gratta la testa, con veemenza meno affettuosa. Apre. Patricia Lewis, firmato a volute ampie sul retro di copertina. Sorride. Lecca le labbra, piantato da ebete al centro della stanza.

Piangeva, ne sei certo. Stava piangendo. O qualcosa del genere. 

Bolivar si scartavetra la nuca a furia di unghie, le pendici delle scapole.

Stringeva quelle piastrine militari come fosse sul punto di perdere l'equilibrio. Eri preoccupato. Sì, lo eri. Lo sei ancora. Preoccupazione, no, troppo cerebrale. Una trepidazione protettiva, ecco.

...

Magari Jack ha sbagliato. 
Ma è un essere umano, tutti gli esseri umani sbagliano. Cristo santo, poi... per fortuna è un essere umano; se fosse soltanto un capitano, alla fine della guerra non resterebbe niente di lei, da conservare (le volevi spiegare questo, prima di ingoiarti la lingua in pancia e digerirti il cervello, Bolivar?). 
C'è modo di rimediare, di riparare, sempre. Esteban lo diceva spesso (molto spesso): "Siate fedeli al vostro capo specialmente quando sbaglia, perchè è nello sbaglio che ha più bisogno di voi e della vostra lealtà". Suonava ironico, volutamente, considerato che il capo era ovviamente lui. Ma nessuno ha mai dubitato della sincerità e della solidità di quelle parole, tra i Blackstriped arroccati sui crinali cedevoli di Serenity.

Ha il libro in mano e improvvisamente sa cosa fare. Una cosa che sa fare bene, molto bene e forse molto meglio di chiunque altro. Afferra la piccola busta di stoffa dove tiene il pezzo di sapone; la svuota, molla il sapone sul cuscino. Si butta sulla porta. La apre. Ricorda di essere a torso nudo dopo aver consumato due metri di ponte. Torna indietro, tuffa le spalle larghe dentro una canotta qualunque, appuntandosi nella stoffa lisa. Infila a rovescio. Mangia i gradini in metallo due a due, tre a tre, sino alla cambusa. Più si convince dell'idiozia del gesto, più è sicuro che funzionerà. Fruga nella dispensa, annusando scaffale per scaffale. Eccoci. Slega la corda attorno alla bocca del sacco. Ci infila la destra. Estrae un pugno di riso: una buona parte scroscia sul pavimento. Lo spazza con la suola. Infila la manciata dentro la bustina di tela. Strappa malamente, coi denti bianchi, quattro dita di spago, prima di richiudere la sporta. Ci annoda la sacchetta (con la solita difficoltà da scarsa precisione). Contempla soddisfatto, cosciente, la propria monumentale opera cretina, poggiandola sulla superficie liscia del libro. Spegne le luci, esce. Traversa il corridoio sino alla cabina 9b. 
Poggia il volume a terra. Sul volume, la bustina.
Si gratta il naso. Il riso è per Gracestone. Per tutte quelle volte in cui fai qualcosa, fai tanto e ti torna molto poco, ma in sostanziale buona fede, al meglio di chi ti ripaga. 

La sua fiducia, la verità, le possibilità, contro i tuoi silenzi balbettati da bestia antisociale. Il suo tanto, il tuo meglio. 

Scuote il capo. Strofina la faccia. La tensione lo lascia, finalmente respirare, smobilita il campo, allenta la morsa. Bolivar prende fiato nel buio ammutolito, solenne, del terzo piano. 
Ha agito. Ha operato. Adesso è pronto. Scenderà da Vandoosler per capire come sta. Da Hale, per guardarlo soffrire rappreso nel sale di se stesso. Scenderà per capire cosa diavolo sta succedendo. E vedrà di affrontarlo, capendolo o meno. 


giovedì, luglio 4

Faithfall



+ Rio Verde, Blackrock, Giugno 2510


Sono quattro. Le schiene addossate alla parete, tra la pietra e la pelle, il coat lercio di sudore, sangue  e sabbia. Tra se stessi e l'inferno, una fragile sfoglia di mattoni.
Jomi è tanto magro che a stento si vede. Il capo piegato tra le ginocchia esausto, i capelli rossi incrostati di schifo, le nocche fasciate, sfasciate,  le vertebre che premono sotto al cappotto. Il fucile verticale, alla spalla, issato come una bandiera senza vento. Immobile. Merry ha le gambe allungate sul pavimento, sui detriti e le piume dei cuscini; il ginocchio a puttane, spappolato da un perforante in cancrena, un sudario sudato copre i tratti castani. Freme di febbre. Lee è in piedi, di fianco alla finestra sfondata, le dita attorno al benson, l'orecchio all'esterno, gli occhi serrati sino a dolere, lo stesso mozzicone spento ficcato in bocca, da ore. Spreme le labbra sulla cicca, sussulta alle voci che si sollevano, inevitabili, dalla strada.
Dalle urla imbottite di sabbia, bava e pugni. Dagli ordini rabbiosi in inglese di Horyzon.
Quartiere dopo quartiere, gli avengers scoperchiano Rio Verde. Artiglieria pesante, massacro celeste. I reattori sono un morso di luce, le fusoliere saette d'acciaio che strappano l'aria fumosa, asmatica della città. Gli angeli chiusi in picchiata fanno questo rumore? Hanno il fascino orribile di creature invincibili. Il rosso del fuoco balena sulle fiancate.
Il distretto di Saint Blas ha accusato la propria ingente dose di benedizioni aria-terra. Il fronte difensivo ha ripiegato sul rione Trafalgar, su cui ora si concentra la pioggia di laser e la grandine di siluri. L'esercito alleato segue l'aviazione alleata, dove l'aviazione è già passata; visita casa per casa, alla ricerca di di uno sfogo qualsiasi per una violenza arroventata in sei mesi di offensiva massacrante. Rio Verde o morte.
Nelle orecchie delle truppe unioniste, rimbomba la maledizione sfacciata, l'anatema incrollabile dei partigiani, dei soldati di Blackrock. Rio Verde ha resistito 193 giorni, ha spezzato migliaia e migliaia di giacche blu, porta per porta, incrocio per incrocio, strada per strada. Per un centimetro, litri di sangue, per ogni metro settanta chili di carne corer. Rio Verde o morte. Quando i marines sfondano le porte macere, tra roghi, caos scheggiato, rovine, mulinelli arroventati, i marines non portano solo le loro divise, casa per casa. Portano il terrore maturato in ore infinite di imboscate notturne, portano la rabbia dei commilitoni uccisi a parsec dalla famiglia, la foga di tornare; ma soprattutto: portano la delusione incredula d'una battaglia che qualcuno, in alto, aveva venduto loro come semplice, ed è stata un massacro tra i canyons. Portano tutto questo. Portano il peggio di sé.
Rio Verde è una città fantasma. Gli uomini al fronte, le donne ed i bambini sfollati. Riempita di partigiani a Gennaio per contrastare l'avanzata delle linee nemiche. Divenuta il simbolo, divenuta il credo. Rio verde o morte.

Non possono uscire. Devono attendere soccorsi. Non hanno altre munizioni che quelle rimaste nelle loro armi. Non hanno cibo, non hanno acqua. Hanno un ferito. Non hanno dormito. Non hanno possibilità. Aspettare. Sperare, in silenzio. Il silenzio della guerra, quell'ammasso di piccoli suoni atroci senza traccia di umanità, in cui si tramuta il silenzio in assenza di silenzio reale.
Uno strillo disperato più forte degli altri fa sussultare Jonas, lo sprofonda nella stoffa ruvida dei pantaloni. Merry geme. Callaghan fissa fuori. Resiste pochi secondi. Gli vibra la faccia angolosa, mentre si aggrappa alla bandana nera legata al collo. Gira la testa, lo guarda.
Bolivar gli da la schiena, ampia, scossa dai respiri affannosi, piegata in un orrore, in una rabbia tanto trasparenti da aggredirti dentro. La testa rasata preme lo stipite della porta, lo preme, lo preme, lo preme con violenza. I denti premono sui denti, la destra aperta preme sul muro. Lee si domanda dove trovi, tutta questa energia per premere e premere. Ha trasportato in spalla Merryweather tutta la notte, tetto dopo tetto, Bolivar. Senza cedere mai. Si fa spesso certe domande, quand'è di fronte a Bolivar.
Bolivar, che saliva le montagne come niente e correva peggio del vento lungo le rive del Mojave.  Che sapeva inseguire un cavallo al galoppo. Bolivar, che perdona lo schiaffo, ma non perdona lo sputo. Nella sinistra, il mauler abbandonato lungo il fianco, il calcio strozzato dentro le unghie spaccate. La croce di Patricia oscilla dal collo teso, pulsante, nell'aria torrida di giugno.
All'esterno, le grida di aiuto diventano grida di agonia. La pressione di Bolivar genera un pugno improvviso, poi un altro pugno, che crepa l'intonaco. Jomi rizza il viso, stremato, esasperato. Lee tenta un passo, la voce rauca. Renee si volta. Gli occhi aperti, il blu fuso nelle lacrime asciutte del furore, della furia nobile dell'animale alla catena. La bocca riarsa, le guance bruciate. I lamenti salgono come fumo oltre i tetti smembrati. Cede di lato, punta lo stivale. Coraggio.
Arma il mauler. Lo schiocco metallico agita le fondamenta della realtà.

- Bolivar, che diavolo...

Renee imbraccia, indietreggia. Le urla lo sconquassano da dentro, nel suono opaco dei roghi in consunzione, delle contraereee in lontananza. Degli ordini macabri in inglese impeccabile.
Lee incalza di nuovo, in un'intimidazione simile alla preghiera. Non è stupito. Non è meravigliato. È al comando:

- Bolivar, ragiona...

Si avvicina, cerca di prenderlo per le spalle. Renee è più alto. Renee è instancabile. Si sottrae, per poco non inciampa.

- Bolivar ascolta

- Lee no.

- Ascoltami.

- Lee...

- Bolivar...

- Lee devo.

- No, tu resti. Aspettiamo i rinforzi... aspettiamo...

- Devo.

- Tu devi...

- Devo andare.

- Renee!

- Devo, devo.

- È finita.

- Io... non...

- morta, lo capisci?
                            (abbiamo perso Lee?)      

- Lasciami.      

- E' GIA' MORTA! E'
                            (abbiamo perso?)

- spostati, Lee

- FINITA!
                            (abbiamo perso...)

-DEVO ANDARE

-BOLIVAR È UN ORDINE, UN FOTTUTISSIMO ORDINE...
                             (abbiamo perso)

- devo... mi dispiace... Call... mi dispiace. Mi dispiace. 

- ... Renee

- ...

- un ordine... ti prego...non...

- ...

Renee lo fissa, indietreggia veloce.
Lee ringhia lungo i gemiti sempre più fiochi. Jonas si copre le orecchie, sino a schiacciarle.
Mi dispiace. Non dovevo lasciarlo succedere. No. Avevo promesso. Mi dispiace Lee, mi dispiace Jon, mi dispiace Eve... Clem, Pat. 
Si butta sui gradini. 

Abbiamo perso. 
Abbiamo perso la guerra.

Bolivar lo sa, d'improvviso; una rivelazione. Brilla buia come la pulsazione di milioni di nane nere. Nel caos che non ode, nel sangue che cavalca, nelle parole di Callaghan che non sente più, negli strattoni, nell'ovatta della coscienza. Nella donna che muore con i ricci sullo sterrato.

In tutte queste cose, abbiamo perso la guerra.

Sta già scendendo le scale, s'avvicina al nucleo del suono, traversa la sabbia che intride l'aria bollente. La spalla destra sbatacchia contro la parete, una nebbia stremata invade la mente.

Non stai andando lì per salvarla. No. Non è questo che vuoi, non è questo che senti. Avete perso la guerra, abbiamo perso la guerra. Rio verde cade a pezzi, Blackrock capitolerà. Quattro anni di questa lottta, quattro anni ad ingoiare la sabbia, ad ingollare il sangue, il piombo, quattro anni senza cedere, senza smettere di credere. Quanti assalti? Quanti agguati? Quante posizioni tenute? Quanti compagni? Quante miglia di artiglieria avversa traversate dietro la canna d'un mitragliatore ed una croce di qualche pollice? Quattro anni della tua esistenza e questa guerra. Apache. Non stai andando lì per salvarla. Non è salvezza che cerchi, Bolivar. Centonovantatre giorni inutili. 

Renee impatta malamente sul muro, consumate le scale. Il braccio si sfracella sul legno. Il legno lo respinge. Un bagliore mordace, candido, ritagliato oltre la porta gli strazia lo stomaco, gli spreme un acido nauseante tra lo sterno e la gola. Si mette in equilibrio, punta la canna in avanti. Le ombre, distingue le ombre nella luce. Le ombre prima nere. Poi blu.

Avete perso. Non c'è nulla da fare. Blackrock capitolerà, Blackrock abbasserà la testa, giungerà i polsi, poserà le ginocchia nel fango. Loro sono più forti. Loro vinceranno sempre. Non c'è giustizia, la giustizia che premia gli uomini coraggiosi, gli uomini senza paura, col cuore in canna. Loro sono più forti e vinceranno sempre. Hai perso la guerra. Hai perso Blackrock. Hai perso Rio Verde. Centonovantatre giorni e quattro anni. 
Rio Verde o Morte. 

Rio verde o morte. 
Traversa la linea. Allo coperto, emerge dall'edificio di corsa, senza rendersi conto che sta correndo. Senza aver deciso di correre, di scattare. Sta già scattando. È lì, a dieci, nove, otto metri dagli alleati.  Gli alleati, gli sciacalli assetati che hanno vinto la guerra e inginocchiato il suo paese. Non distingue i volti, non distingue i contorni. La forza fischia nelle orecchie, in esaurimento, in caduta libera. Il mauler scintilla tra le mani, la croce scintilla sul petto.
Oltre la finestra, nella vertigine muta della consapevolezza finale, Callaghan lo fissa. Per la prima volta lo vede gettarsi in mezzo ad una strada, gettarsi in bocca ad un pericolo e quello che pensa non è il solito amore, non è la solita audacia, non è la solita determinazione... quello che pensa è disperazione. È suicidio. Bolivar, l'irriducibile della fede, della speranza, si sta suicidando col fucile in mano.

Poi, Jomi urla.
Sorge dalle proprie dita.
Bestemmia, si alza, annaspa. Impreca. Piange, forse. Arma il benson. Barcolla, gli occhi grigi da volpe consunta, colma di rammarico, colma di odio, di lacrime troppo sincere per non scorticare la sua faccia da bastardo.

- VAFFANCULO BOLIVAR, VAFFANCULO, stronzo idiota del cazzo VAFFANCULO

Caracolla sui gradini gridando il nome di Renee tra un insulto e un singhiozzo rabbioso. Inciampa, sulle proprie suole, si aggrappa alla ringhiera coi nervi, ai nervi coi denti. Scartavetra l'anima alla ricerca di voce. Ride, del riso malato dei dissennati.

- RIO VERDE O MORTE!

Lee è sfinito, finito. Non lo richiama. Lo sente. Strofina la faccia, striscia inesorabilmente lungo la parete; conficca le unghie nei palmi anneriti dal metallo sino a bucarli. Pensa alle sue bambine. Oracle. La casa che ha costruito. Merry agonizzante. Mitchell giù per le scale, Renee giù per la strada. Un tiro spento. Sputa il mozzicone a terra.
Il sapore dei capelli di Miriam.
Inghiotte. Un segno di croce. Le piastrine militari sono al loro posto. Accanto alla foto della moglie.
Sfodera il revolver, gli ultimi cinque colpi.
E spalanca la persiana sfasciata.

Le raffiche del mauler di Bolivar esplodono qualche metro più in basso, tra lo stupore secco, rigido delle giubbe alleate. Renee ne falcia due, forse tre, in un unico, folle, ventaglio di proiettili a ripetizione. Percorre l'intero arco, un'onda agguerrita priva di logica, una bestia ferita priva di scrupolo biologico. Ci scarica tutto se stesso, assieme al caricatore. Rimane col mauler vuoto. Il corpo vuoto, in piedi al centro di Primera Street.
Silenzio.

- RENEE!

Lo scoppio delle pallottole giunge molto prima del dolore. Poi il dolore, quello bruciante, straziante, gli buca le viscere, gli squaglia lo stomaco, gli perfora l'addome. Allarga gli occhi blu verso il cielo violato dai reattori bianchi degli avengers. Diventa bianco tutto, il celeste. Il celeste diventa tutto bianco. Il bianco e il celeste cadono assieme a Bolivar, dentro a Bolivar, passando per lo sguardo che precipita.



lunedì, luglio 1

Hardsun


+ Apache / Prayer's Peek, Monterey Country, Blackrock, Giugno 2503


Non gli restava che seguire l'aquila sino alle pendici dell'alba...
Patricia siede in veranda, la camicia bianca da uomo ripiegata sulle braccia forti. Arrotola attorno all'indice la catenina d'oro, strozzando un nervosismo che non può, non vuole permettersi. Un nervosismo che le dimostra, senza appello, una mancanza di fiducia. Mancargli di fiducia, mai. No. 
Ignora l'ansia con la schiena diritta, la mascella squadrata attorno ad un'angoscia istintiva, il pollice pigiato sul bordo della pagina. 
Non gli restava che seguire l'aquila sino alle pendici dell'alba...
Deve rimanere calma. Non non esiste motivo di agitarsi. No, Patricia Clarkdale è una donna ragionevole, una donna d'un pezzo, una donna solida, tutta sangue e granito. Una donna di Blackrock.
Non gli restava che seguire l'aquila sino alle pendici dell'alba...
Sospira; innalza il cuore e lo sguardo, uno sguardo cerchiato di nero pesante, increspato su lievi rughe solari. Sta scorrendo lo stesso rigo da una serie interminabile di minuti. Non gli restava che seguire l'aquila sino alle pendici dell'alba. 
Abbandona la lettura, asciuga la fronte con un polso, la croce d'oro svicola sul petto, tra le pieghe della stoffa. Il metallo beve il mezzogiorno spietato che pialla la terra brulla di Apache, sciogliendo la polvere in miraggi acquosi. Il campo. I recinti. Le case basse, appisolate nella siesta. Il celeste feroce, la Sawatch Range, più in là la valle del Mojave. E Prayer's Peek. 
Il profilo netto di Patricia si staglia solenne nel giugno incandescente. Chiude il libro, l'indice a segnare un punto a cui è incollata dalla distrazione. Sistema senza ragione i capelli mossi, una pece morbida sui tratti duri. Rimane ferma, le narici che pulsano, le labbra aggrottate. 
La stizza per le proprie preoccupazioni pesa poco meno delle preoccupazioni in sé. Quindi pesano molto entrambe, ed entrambe dovrebbero sparire. Soffia, quasi qualcuno di fronte l'avesse indotta a dissentire, o risentirsi. Batte la sinistra in grembo, tentenna la gamba. La gola secca. Non è niente. Non ha sete. Ha sete. Si alza per procurarsi un bicchiere di qualunque cosa. La caraffa è sotto un telo umido, sulla balaustra della finestra. I tacchi degli stivali battono sul legno, urtano dentro e fuori. Scuote la testa, versa, nella gola allargata da un respiro tenace. Succo di limone, freddo. Due cucchiai di tequila. Taglia le tende asfissiate a colpo d'occhio. I bambini dormono nell'ombra, tutti quanti, tra colpi di tosse e fruscii. 

Il vento sa di sale a miglia e miglia dall'oceano. 
Inghiotte in rincorsa ripida la parete rossa, a picco su una vertigine di settecentosedici metri. L'azzurro, il bianco, la tensione dei nervi ubbidienti, la forza che esplode sotto la pelle, l'aria affilata sopra la pelle, due ali di immenso vuoto bramoso spalancate dietro la schiena, dalle scapole al suolo, dalla nuca allo schianto. La roccia tra le dita; stringere miliardi di anni in una mano, le intemperie, i capricci del tempo, tutto in un rostro di arenaria lanciato ad aggredire il cielo. 
Lo sconfinato cielo. 
Lo sconfinato sacro silenzio. 
Prayer's Peek si stende come una guglia affilata verso le nuvole, uno sfregio verticale.
Salire. 
La suola accarezza la pietra, poi la morde; una manciata di ghiaia precipita nelle sventagliate di brezza abbagliante, in una retta fatale verso l'abisso. 
Respiro, respiro. Respiro. 
I tamburi del cuore, un ritmo scaltro e veloce, su cui potresti regolare un metronomo. I tamburi d'un cuore allenato, un cuore illimitato. La maglia bianca sbandiera nelle folate a spirale, il sudore evapora prima di bagnare le ombre vivaci tra i muscoli delle braccia, delle spalle. Respiro. 
La sinistra buttata in alto, una crepa. 
I denti scorrono paralleli al muro, su, su. Ingoia. 
C'è calma pulsante, c'è pace accesa. C'è controllo. 
Il precipizio non fa paura, se sai come domarlo. 
Se hai coraggio nel sangue. Se hai la montagna nelle ossa. 
Uno spirito che suona come il vento. 
Guarda giù. 
La terra confusa in fondo al baratro. Piega il ginocchio, appunta l'anfibio; una spinta. Salire, salire. La corda avvolta al bacino contratto gli frusta le gambe. Non è legato, nessun tirante, nessuna sicurezza, salvo se stesso. 
Respiro. Respiro. 
Su. Ancora. Un altro fiotto di forza, un altro lampo. Su. 
A distanza, vola un'aquila; Renee è un punto, biancheggia intrepido sullo sperone millenario. Si muove con l'agilità e la resistenza delle creature dell'altipiano, nel mezzogiorno dilatato e accecante della Mojave Valley. L'aquila plana, danza, vibra le piume nel caldo di aprile.
La sua sagoma scura presiede la spianata. Scorre sul viso di Renee, dai tratti armonici e tenaci, dentro il suo sguardo blu. Renee la contempla, insegue la parabola, socchiude le labbra in una meraviglia che l'abitudine non consuma, che lo strapiombo non attenua. La ammira; c'è qualcosa di...qualcosa di...
Scivola.
Con un piede. 
Giù. 
Si aggrappa. Lo strattone che avvisa le fibre del corpo; allerta, le fasce sui palmi sfregano la roccia. La reazione. Il volto non cambia espressione, una contrazione; non esiste timore, nemmeno se ciondoli a settecentosedici metri dalla fine.
Appeso nel vuoto.
Lo sconfinato cielo.
Lo sconfinato sacro silenzio. 
Ingoia. Respiro. Respiro.
Respira. Respira. 

Chiude gli occhi.
Respira, respira. 
Apre gli occhi.
Piega le braccia. Su.
Recupera la presa. Aderisce ancora col corpo alla pietra. Ricomincia. 
Il vento sa di sale a miglia e miglia dall'oceano. 

Patricia distende le lenzuola ad asciugare, via via che Evelyn le passa la stoffa, pescandola da un cesto ai propri piedi. Gli spaziosi rettangoli luminosi tagliano zone candide nel pomeriggio inoltrato di Apache. Eve tiene i boccoli castani stretti in un fazzoletto, la schiena diritta nel vestito semplice. Ogni volta che si china regge l'orlo della gonna sulle caviglie. Samuel ed April corrono nello sterrato, contendendosi una bambolaccia di pezza interrata. April piange disperata. Fanno un baccano del diavolo. 
Entrambe le donne lavorano in silenzio, lisciando le pieghe della biancheria. Le mosse di Pat mostrano la fermezza risoluta della contadina, quelle di Evelyn la calma contegnosa della brava ragazza. Quarantuno anni, vent'anni. 
Patricia, ogni tanto, fissa il sole: sta calando. Sembra lo voglia rimbrottare perchè osa calare. Evelyn aggruma le labbra sottili in un cruccio adirato e sistema con vuota precisione un angolo della federa. Patricia le puntella addosso lo stesso sguardo di rimprovero rivolto al cielo. Sbuffa. Butta una mano al fianco, batte col palmo la stoffa umida.
« Oh, andiamo, Eve! L'ha già fatto altre volte »
« Mh? Io... non ho detto niente. Io. »
Evelyn la scruta, aggiustando il viso sottile come un origami orgoglioso. 
« Fai quella faccia, quella faccia lì. Levati quel broncio preoccupato »
« Non sono preoccupata. Sei tu che sei preoccupata »
« Eh? Preoccupata io? Boff... » Patricia si gira. Raddrizza sul filo un lenzuolo perfettamente diritto « Figurati... e perchè poi? Preoccupata. Preoccupata di cosa? Non c'è assolutamente nulla di cui preoccuparsi. Preoccupata... ma sentitela, roba da matti »
« … » Eve abbassa il mento esile, si volta, impermalita « Sam! Restituisci subito la bambola ad April! Samuel!» 
Samuel la occhieggia, sventolando il trofeo. Ricomincia a correre, impenitente.
«... E sentiamo, di cosa ti preoccupi »
« Non sono preoccupata »
« Nemmeno io »
« … »
« … »
« Non c'è ragione di preoccuparsi »
« … Nay »
« … Passami quello... quello più piccolo, aye, quello »
« … »
« … Insomma...È una cosa che ha sempre fatto. Non gli è mai successo niente... a parte la volta... va bene, però lì è stata un'eccezione... »
« Prayer's Peek... »
« Prayer's Peek è un sasso come tutti gli altri sassi »
« Me lo ha raccontato, me lo racconta tutte le volte, mille volte... è un muro di... novecento metri. Tutto dritto, tutto liscio, specialmente da quel lato lì, non ci salgono nemmeno le lucertole, nemmeno i serpi non... »
Patricia allunga un braccio oltre il lenzuolo e acchiappa Samuel per un polso. Con un tempismo impressionante.
« Basta Sam; fila in casa, subito... guarda come ti sei conciato. Ap... Ap, vieni qui...tieni... su... su... asciugati la faccia, Miss. Margaret sta bene... guarda, ecco, vedi, sta bene, è solo sporca di sabbia » Dopo aver spedito il bambino con uno scapaccione all'interno del casolare, porge ad April la bambola (Miss.Margaret). Poi solleva la creatura al petto, sistemando la crocchia scura, mentre la piccola le strofina il naso alla camicia « Lo conosco Prayer's Peek, ed è... un sasso. Renee si arrampica su quei sassi come un gatto. Te lo ricordi quando è montato al Cantilever Point? Ha spiegato che è simile a Cantilever Point, stamani »
« Jomi dice che col Cantilever non c'entra nulla »
« Oh, ma figuriamoci. Quel bugiardo sciagurato di Mitchell. È capace di darti un somaro per un cavallo, se lo lasci chiacchierare a sufficienza »
« Anche Lee, lo dice »
« Callaghan? »
« Aye, lui »
« Cosa vuoi ne sappiano Callaghan e Mitchell del Cantilever, poi? »
« Lo dicevano l'altro giorno, parlavano di questa cosa con Renee al mercato, io ero con Mary a cercare i bottoni. Stavano appoggiati davanti a... »
« Davanti a che? »
« No, dicevo, erano lì e parlavano di come quelli che ci hanno piantato la croce su, al Prayer's, prima di piantarcela sono... » 
« Davanti al Paradis? »
« … »
« Cielo santissimo. Sta sempre a spezzarsi la schiena per tre pesos quel disgraziato e poi si fa trascinare al... »
« è morta un sacco di gente per piantare la croce sul Prayer »
« … lo dovrebbero chiudere. Ma ti pare che in una cittadina rispettabile come Oracle ci deve essere un posto simile »
« … certi giorni la pensi diversamente »
« Cosa? »
« Sul Paradis... e mi rimproveri di essere... »
« … Bé? Oggi la penso così, va bene? Non si può? Su, tieni Ap, che finisco di stendere »
« … » Evelyn prende in consegna la bambina; le sopracciglia precise spiccano una 'v' di disappunto indispettito sotto la fronte alta. Il sole si abbassa, il tempo passa. Patricia decide che stasera farà una torta. Conta porzioni abbondanti. Bolivar ha un appetito micidiale, fin da piccolo. 

Renee Bolivar è dritto accanto alla croce di frassino piantata in testa a Prayer's Peek, un punteruolo nella Mojave Valley. Il petto largo si solleva regolare, sotto la maglia gioca il fischio dell'aria raffreddata dalle gole. Sulla linea dei nervi, nel solco in mezzo alla schiena s'arrischia qualche striscia fradicia. Trentatre gradi di limpidezza assoluta. 
Renee carezza con le pupille profonde il profilo dell'orizzonte. I massicci, le crepe, gli spigoli di Blackrock. Ad ogni respiro si riempie di una forza,  una forza invisibile, indefinibile, l'intensa e viscerale adesione con le cose, quelle cose. La bellezza senza parole, la casa senza parole. Il tuo posto, oltre le parole. Sgancia la borraccia dalla cintola, beve. Asciuga la bocca sulle nocche. 
Eccolo. 
È il gusto dell'acqua, dopo novecento metri di scalata. 
Il centro pulsante della materia. L'ossigeno, quando è mancato, ha un odore diverso. 
La destra tocca il legno eroso del crocifisso. Lo tocca, con un rispetto lontano dal timore e dalla morbidezza. La pacca piena al cavallo selvatico. 
Si, scosta. Si avvicina al bordo, fa sporgere la punta delle scarpe chiodate oltre l'abisso. Ingoia. Le ciglia calano, butta la testa all'indietro, sul filo del rasoio, gli occhi bruciano di sole dentro le palpebre, i ciuffi castani si fanno frugare dalla galoppata del soffio salato. Il sapore della sabbia scottante in mezzo alle crepe, il sapore dei bordi bruciati delle foglie. Il vertice luccicante del multiverso. 
È fradicio, è felice. Pazzamente felice. Sfodera le pupille in una scossa di blu, beve lo scenario in un sbocco esplosivo di piani orizzontali, verticali, ascese cremisi. L'ombra della croce gli traversa il ventre. Si volta. Ride. Ridendo prende la rincorsa. Una, due, tre mosse; si innalza seduto all'incontro dei pali. Apre le braccia, in volo, cavalca il respiro. Sente le piume, le piume che non ha. 
Chiama le dita graffiate alla faccia e ulula al cielo, come un coyote, come uno stupido, libero grido di guerra.


martedì, giugno 25

Warmates


+ Almost Home, Timisoara, Bullfinch, 25 Giugno 2515


« Le aquile di Spartaca non abbandonano mai la loro prole. Tuttavia può accadere che durante le estati più rigide, non riescano a nutrire entrambi i piccoli. Ti ho già informato del fatto che le aquile di Spartaca non fanno mai più di due uova alla volta, Renee Bolivar? »

« Aye, aye me lo hai.... Andre, cristosanto, ti... sposti, per la miseria? Scusa, Kay è che- »

« Putain, non posso ancora traversare i muri, fratello »

« ...Avviene durante le estati particolarmente rigide: la madre valuta l'impossibilità di distribuire una giusta quantità di cibo ad entrambe le giovani aquile e quindi, per massimizzare le probabilità di sopravvivenza della specie... »

« ... levati... stai nella... guarda, eccolo qui; qui, qui! ... Il limite.. stai dalla tua parte, nella tua metà »

« Ma sono nella mia metà, ecco, vedi? Senza discutere sul fatto che il letto è teoricamente, interamente mio »

« ...per massimizzare le probabilità di sopravvivenza  della specie ne nutre solamente una, quella della coppia che riesce a mangiare per prima la razione quotidiana. D'altronde il cibo non è l'unico problema »

« ... Andre... che cazzo...mi hai... toccato i capelli?! »

« era il gomito, sacre bleu, ho solo spostato il gomito »

« ... le aquile di Spartaca scaldano la loro prole con il proprio piumaggio, difendendola dalla neve e dandole calore. Se i cuccioli sono due, e la temperatura scende troppo in basso, una madre riesce a conservare bene lo stato termico di uno soltanto. L'altro diventa di troppo. Deve lasciare il nido »

« ... anche quello era un gomito !? »

« ... era un ginocchio. Il ginocchio del re del Potomac. Non è colpa mia se sei... ingombrante »

« Andre Vandoosler ha ragione, Renee Bolivar. Le proporzioni del tuo corpo escludono che tu riesca ad occupare senza eccederla, una precisa metà del letto. Posso esporti le cifre alla base del mio ragionamento, se servissero a tranquillizzarti »

« No, Kay... non... Sai cosa servirebbe a tranquillizzarmi? Che questo... ladro di cavalli smettesse di starmi appiccicato, tipo...»

« Hai sentito sorella Adler? È colpa tua. Sei grosso e molesto, Renee Bolivar »

« Mi tranquillizzerebbe anche che tu la facessi finita di ridere come uno stronzo, rischiando di svegliare il... »

« Chi?? Oh, dieu, lasciami indovinare, ti prego »

« ...A...a...  »

« Proverò ad indovinare io, Andree Vandoosler. Sono brava ad indovinare. Questo non è uno scherzo »

« Oh, che idea adorabile, sorella. Vediamo se ci riesci. È COSÌ complicato... »

« Andre... ti... ti... giuro che...ti...Kay! Lascialo perdere... lascialo...per... »

« Stando all'acustica della Almost Home, un classe firefly, la risposta è al sessantotto percento il meccanico Sundance Celsire. La restante percentuale viene assegnata per incerta approssimazione al pilota ufficiale Red Wright e agli occupanti della camerata collettiva »

« Ma perchè Hale non se l'è scopata in un prato? In un dannato... pascolo... »

« Hai avuto rapporti sessuali in ambienti esterni, Renee Bolivar? »

« ... che... co... che....non...Hale... Cortes...non »

« Rapporti sessuali completi in ambienti non comuni »

« .... ma... eh...  asp.... non... no... cioè, sì... che... CAZZO ANDRÈ SMETTI DI RIDERE! »

« Dieu, Renee, hai... hai mai avuto... rapporti sessuali...uhr, morirò »

« Le motivazioni del mio interesse sono cliniche e rientrano nelle mansioni di igiene di un medico di bordo professionista, Renee Bolivar. Adesso ti elencherò accuratamente tutti gli inconvenienti e rischi per la salute che comporta una scelta poco accurata del luogo di unione durante un rapporto sessuale; puoi prendere appunti sul tuo dispositivo cortex-pad, Renee Bolivar. Questo era uno scherzo ironico »


Vandoosler, quando dorme, parla nel sonno. Ed ha la tendenza inesorabile ad allargarsi, liquefarsi. Oltre la capacità allucinata e allucinante di divenire di gomma: scuoterlo, spingerlo, strattonarlo non serve assolutamente a nulla, salvo incrementare il numero delle beate farneticazioni.
Mordecai, al contrario, riposa del riposo efficientissimo dei soldati, accerchiata dalle orecchie vigili di Anchorage e dalla presenza minacciosa di Helena, appollaiata ai piedi della falconiera.
Che ore saranno? Le quattro? Le tre?
Bolivar, sull'orlo estremo della branda, non prende sonno. Strofina la faccia. E se succedesse qualcosa? Lei gli attribuirebbe sicuramente la responsabilità. Perchè in effetti, sarebbe sua. La responsabilità Il letto occupato da Kay, è il suo. Sua, la responsabilità. No, non può dormire fuori, né sul divano: troppo rischioso. Spintona Andre per l'ennesima volta, sorprendendolo intento a sbavargli su una spalla. Sbuffa, esasperato, l'aria sofferta della mancanza di riposo insostenibile. Dignitosi... dovete essere dignitosi. Per qualche momento Renee ha quasi la tentazione di mugolare sconfortato. Poi Vandoosler dichiara di  dover contare le ciglia alle sirene di Whitmon, spezzandogli le lamentele in bocca.
Si fa serio ricordando la breve discussione al saloon, col compagno di stanza.
No, non lo pensa. Non pensa che André verrebbe meno ai suoi doveri per infilarsi tra le gambe di una puttana. Anche se è un ladro di cavalli, insomma. Ha rispettato sempre gli impegni, rispettato i doveri... esteriormente a modo suo, d'accordo, ma è la sostanza quella che conta. Sente che è così, che si può fidare di lui e che gli può affidare la vita di qualcun altro... Gliela affiderebbe. Lo guarda. Gli sfila il cuscino, del tutto; non vorrebbe, calibra sempre male le mosse. Cerca di premerglielo di nuovo sotto la faccia, senza toccargli la testa... impresa fallimentare; l'impiccio si sgonfia, si rassegna. Affiderebbe ad André la vita di qualcun altro di importante, se capitasse... è il presupposto, è la base. La stima, il rispetto franco, materiale, che profuma di terra; perchè Vandoosler non è una persona debole. Se gli domandassero come mai, nonostante la switch, Bolivar non saprebbe rispondere (gli capita spesso, di non sapere, ma di sentire); lo sente, dall'odore, dallo spirito, qualcosa che brucia forte, fa tanta luce, si esaurisce nella fiamma, nel fumo futile... però rischiara. E non lo spegni, neanche a soffiarci forte, a soffiarci cento volte. Ricorda le  candele basse e tenaci al santuario della Vergine, adesso, anni ed anni fa, il santuario della Madonna Rossa di Yuma... quelle candele, squagliate dentro, consumate dentro, sempre sul punto di morire per la cera liquida che le strozza, per la stessa cera che le strozza sempre sul punto di avvampare.
Sbatte le palpebre sugli occhi blu. Le sfrega bene. Le visioni gialle, arancio, evaporano nel grigio immobile delle lamiere sovrastanti. Wright e Bolton ululano stonati in plancia; festeggiano. Cosa?  Addentra il collo nelle spalle spesse, lucidate dal caldo.
Dovete essere dignitosi.
Comportarsi in modo ragionato e dignitoso.
Bolivar difetta nel primo termine della coppia, Vandoosler nel secondo (Kay eccede talmente nel primo portandolo ben oltre i limiti del secondo). Già.
Non si tratta di idee, si tratta di impressioni. Renee, faccia al soffitto, braccia dietro la nuca, ha l'impressione di aver sbagliato, ha l'impressione di aver deluso e nessuna argomentazione mentale servirà a pulirgli il cervello. Inghiotte. Sta sudando. Fruga lo sterno, carezza la catenina dorata sul petto, tra le pieghe della maglia slabbrata. Un combattente ci impegna la vita, sul campo di battaglia e se non parti impegnandoci la vita sei il primo a credere non valga la pena di andare. Si combatte con tutto il cuore, si combatte con tutto il sangue, sempre. La vita poi è una cosa generica. Le persone, quelle sì, sono una cosa concreta. La terra è concreta. La giustizia, è concreta. La libertà è concreta.
C'è una certa calma o una certa pace in quella cabina: tre esseri umani, due cani ed un falco. Qualche metro quadrato. Ritrova la guerra, come era la guerra... vorrebbe la guerra fosse stata più simile ad adesso, nei momenti di buio e di silenzio.
So che voglio combattere. Che devo combattere, resistere ed insistere. Ci siamo, ci siamo sempre stati.
Nessuno rimpiangerà gli alleati, Jack Rooster. Capitano Rooster. Nessuno rimpiangerà mai gli alleati a causa mia. Finchè ci sarò io. E quando arriverà il momento di dimostrarlo in altre parole, o al di là delle parole, te lo dimostrerò.
Thiago, con la zampa bendata, sporge il muso da sotto il materasso. Bolivar gli affonda una mano sulla testa, gli carezza il collo. Si addormenta pensando ad una lunga striscia di tabacco.


"They can cut all the flowers, but they can not stop the spring..." ( pag. 13)

sabato, giugno 22

Aramis


+ Deserto Rosso, Sedona Rift, Blackrock, Giugno 2509

«Bolivar... Bolivar è inutile... non ce la fa più.. per amor di Dio...»
Lee ha croste di sete sulle labbra, sulle guance. Il sole gli ha arroventato la pelle, sotto i vestiti intrisi di sale sudato. Tiene un mozzicone tra i denti, per disperazione. Lecca la bocca. Gli occhi sono due fessure tagliate nella faccia di cuoio graffiato. 
Gli occhi di Bolivar no: aperti, grandi, blu sostengono il deserto rosso. Quando li scoperchia sul caposquadra, Lee Callaghan ingoia a secco la ceca determinazione di quello sguardo trasparente. La fame ha consumato i tratti pieni di Renee Bolivar senza incattivirli, li ha induriti senza affilarli; la sete ha asciugato la carne attorno ai muscoli senza strappargli un grammo di forza selvatica. E la guerra, la guerra non gli ha ammazzato l'entusiasmo, non gli ha giustiziato il cuore. La sua, è una purezza troppo intransigente, troppo coraggiosa, per poterla definire ingenuità. 
Sarà per questo che Callaghan esita ad infierire, a ordinare. 
Per questo, o perchè si conoscono sin da bambini. 
Sarà perchè si conoscono fin da bambini che Jomi, trascinando gli stivali sfondati tra i sassi e la sabbia, li raggiunge, bestemmiando, sbraitando, con le lacrime della rabbia nervosa appese agli zigomi. Lacrime solide, calcificate: sono tutti disidratati, come disidratato è Aramis, il fox trotter di Bolivar. 
«PORCO CAZZO, Bolivar! È un fottuto... stramaledetto... cavallo del cazzo! Un cavallo... stiamo crepando tutti di sete, tutti... perchè non vieni ad abbracciare pure me eh, visto che crepo di sete anche io?»
« Mitchell, falla finita, cristo santo, falla finita, datti una calmata »
« Una calmata, Call? UNA CALMATA? Guardalo, sacra vergine, guardalo!»
La mano secca di Jonas 'Jomi' Mitchell punta di slancio irascibile la figura di Renee, impegnato a sorreggere il muso, il collo di Aramis su una spalla tenacemente diritta. Renee non dice nulla; quando soffre si immerge nel silenzio fiero, ma semplice, delle creature impreparate al male intrattabile, al male universale. Non ha bisogno di replicare, replica a furia di azioni; volta la faccia sciupata ad aderire a quella agonizzante di Aramis, spezzato dal deserto, traballante sulle ginocchia tremanti. 
« Bolivar, ascolta... »
« Sei uno stronzo Bolivar, uno stronzo con cervello pieno di mer...»
« Mitchell, levati dalle palle. È un ordine, intesi? In capo alla colonna, subito »
« .... Vaffanculo Lee. Vaffanculo »
Jomi fissa Bolivar con l'odio sofferto del migliore amico; lo sguardo grigio, scostante, strofina contro quello di lui, scavato in un'aggressività buona, leale, trascesa in ostinazione dai quarantacinque gradi della marcia. Jomi lo cerca, gli offre un disprezzo qualsiasi, per scuoterlo; gli crolla la fronte. Ed obbedisce al superiore. 
Rimangono soli, Bolivar e Callaghan.
« Renee... »
Renee inghiotte. Serra le palpebre. Le dita si chiudono sulla criniera del fox trotter. Annuisce, caricando un respiro. Con una cautela commovente abbandona il cavallo; il cavallo capisce, comincia a capire, o forse è solo grato alla terra di poterle cedere addosso. Si accascia, in un rantolo di gambe.
Lee resta immobile, strozza il mozzicone secco. 
Bolivar sfila il benson bollente dalle scapole sporgenti. La medaglietta militare tintinna sulla cinghia. Il metallo arroventato consuma i palmi; non se ne cura. Imbraccia. Apre, chiude. Officia un rituale tragico nella solitudine sincera, alta, del profilo contratto. 
«Renee... posso farlo io. Lascialo fare a me »
Bolivar scuote la testa rasata. Gli fa cenno di allontanarsi. 
Callaghan si allontana. L'ultima cosa che vede è il compagno che si china su Aramis, muso a muso, carezzandogli il manto sauro, il naso pulsante. Volta la schiena.
Dieci passi; un colpo di fucile. 
Quando Bolivar raggiunge il gruppo, non si limita ad affiancarlo; lo supera. Le suole calcano la polvere  infiammata, il mento ispido sollevato. Lee si domanda dove diavolo trovi l'energia per tirare diritto a quel modo nella rena del deserto spietato, dopo due giorni di privazioni, di tappe sfiancate con una truppa di blues alle costole. Forse lo sa. Teme di saperlo. 
« Bolivar ... Bolivar, aspetta... »
« Nessuno aspetta. Dobbiamo dargli dodici miglia a quegli sciacalli assetati. E dargliele prima del tramonto »
Annuncia, la voce calda, decisa, spezzata da qualcosa, qualcosa che nessuno, mai, potrà leggere dentro al volto limpido: oramai è in cima alla fila, dinanzi solo l'orizzonte liquido delle dune.


martedì, giugno 18

Heartlines



 + Sunset Tower, Safeport, 10 Giugno 2515

Queste sono le città dove non vedi sorgere e tramontare il sole, sono queste le città di ferro, e di ruggine verticale, le città dove la terra sotto ai piedi è un tappeto di uova marce, dove la pioggia sa di motore e crematorio. (Le città, sono queste? Le città dove vivono le persone?) Senti, il freddo appiccicoso, sentilo. Ti piega le ossa, ti sporca i polmoni. Il fango crolla sulle case di lamiera e di fango, fango su fango, niente si asciuga, mai. Niente di asciutto. Da nessuna parte (Le persone continuano a vivere in città dove il fango le ammazza a centinaia, giù alla baraccata est). Sgretolarsi, scivolare. Le torri nere delle fabbriche, alte e parallele come un graffio, ti traversano il petto, ti sgozzano le parole, hanno il potere inquietante degli sciacalli rossi quando ululano nella notte e tu non li vedi (ci hai passato le notti, col fucile, respirando le stesse paure dei cavalli). Per fissare la punta del porto hai dovuto ribaltare la testa. Pensaci. Succede solo con le montagne. Succedeva, solo con le montagne, prima. Non hai mai visto nulla di simile fatto dagli uomini. Quanto lavoro, quanto tempo per costruire? E se corressi dalla base alla cima, quanto tempo e quanta fatica? Ad occhi e croce Sunset misura... Creedstone needle? Jackson peak? Sul tetto del Creedstone ci sei arrivato, al vertice del Jackson, pure. Ma non è pietra. La tua pietra. Tonnellate di metallo. Distese di metallo. Incredibile. La pioggia è di piombo, si gela, un altro colpo di tosse e ti prendi in cuore in mano, te lo infili in tasca (Kay direbbe: una metafora. Adler, direbbe...una metafora). L'odore dei tiranti, dei bruciatori in coda alle navi. I passi suonano diversi. Le teste impalate sulle aste, incrostate sulle aste. Raccontavano al saloon di quando Wright ha appeso due giacche blu al pennone della torre, ed ora restano a malapena le divise. È pur sempre un pianeta libero. L'anima dell'indipendenza batte dentro Polaris. 

Butta la faccia al cielo scoppiato di viola, gonfio di nuvole peste. Rabbrividisce. Il temporale scroscia sull'impermeabile grigio. La strada attorno dilaga deserta, salvo il rumore dei rovesci sulla latta, sulla plastica, gli schiocchi dell'intonaco scrostato. Nessuno attorno. Bolivar non si chiede perchè. Trema. È una bestia di Blackrock, cresciuta nel sole e contro il giorno. Tossisce, scrolla la chioma arruffata, seminando schizzi di traverso, oltre il muro di pioggia. Un passo ancora. Si blocca. Alza il mento ispido; gli occhi corrono lungo le impalcature sfondate di una palazzina. Il blu dello sguardo frena sul tetto, traversato da un fulmine che aggredisce le nubi tumefatte. 
Tutto pare premerlo a terra. 
L'acqua gli pesa addosso. Il gelo gli pesa. Il jackhammer gli pesa. Il fiato infiammato, gli pesa. 
Indietreggia, trascinando le suole con forza nel fango. 
I mesi in miniera gli pesano. I muscoli rallentati, gli pesano. Gli pesa la fierezza caricata in spalla come un compagno azzoppato. L'attesa della rivincita gli pesa. 
Sfila il cappuccio. Chiude le palpebre, beve un respiro enorme. Stringe il crocefisso dorato, lo appoggia alle labbra.
La distanza da casa gli pesa. Gli pesano i morti. Gli pesa la resa della sua terra. 
Lo scatto. Il salto aggressivo. Sbatte contro i telai d'acciaio, a due metri e mezzo dal fango, attaccato alla lamiera. I nervi si schiudono in un dolore reattivo, entusiasta. Una forza irruenta gli germoglia dentro in un dispiegarsi avido di rami selvatici. Renee sorride. E comincia a salire. Sale, sale, al ritmo vasto di tamburi al galoppo. Scivola. Crolla. Resta attaccato per un braccio; con quel braccio torna a scalare le pendici di Safeport. Inesorabile, inarrestabile, con la semplicità eroica delle creature delle vette. Il corpo risponde, il corpo è fedele. Non c'è più acqua che gli pesi, non c'è più gelo, né jackhammer, ne fiato infiammato. Non i mesi in miniera, non i muscoli rallentati, non la fierezza sofferente, non l'attesa. 'Casa' è oltre l'atmosfera, i morti sepolti in fondo al cuore. La sua terra non s'è mai arresa. 
In qualunque posto del 'Verse un uomo di Blackrock stia combattendo, sta combattendo per Blackrock. In qualunque posto del 'Verse un uomo di Blackrock stia combattendo, Blackrock combatte ancora.

È seduto sulla sommità del grattacielo in rovina. Gambe buttate distese. Palmi alla lamiera. Fradicio. Il jackhammer allungato accanto alla coscia. La pioggia acida gli lava la faccia, gli corre sui contorni del corpo in pulsazione. Ha lasciato Priorbank, mandando al diavolo 'Pence col maledetto fieno di maggio... perchè? La scintilla nello stomaco, l'andatura zoppicante di Wright. Quel Red Wright. Il miraggio turbolento d'un posto stabile, del tuo posto stabile, un luogo per restare e resistere. Non l'ennesima sosta provvisoria da cui scappare per un esplosione appassionata del tuo credo trasparente. Lo ha detto a Rooster. Al capitano Rooster: non potrebbe essere un uomo diverso.
Renee respira. Respira. Da qua, dall'alto, riesce a distinguere l'orizzonte. La linea dell'orizzonte. 
Stacca la destra dal tetto. La apre davanti agli occhi. 
«Il tuo cuore, Bolivar, è sempre dieci passi avanti alla tua testa. Guarda. Aspetta... un attimo. Guarda, ti dico. La vedi questa qua. Questa qua è la linea del cuore. Ti traversa tutta la mano, da parte a parte; è dannatamente spessa. Ci impugni il fucile... Aye, va bene. Ascoltami. Continua a seguire la linea del cuore, Bolivar. Basta che continui a seguire la linea del cuore.... cosa? Se ci credo? Holy christ, sono senza gambe, mica senza testa, splendore. Certo che non ci credo! Non ci devo credere io. Ci devi credere tu»
La verità ulula tra le guglie di Sunset.




 + Almost Home, Outer Rim ring- Polaris, quadrante Bullfinch, 17 Giugno 2515

Renee è disteso sul letto, in cabina. La cabina 9e. Vandoosler non è tornato. Non ancora. Bolivar regala una risata silenziosa al soffitto. Si sente bene. Benissimo. Freddo a parte, ovvio. Studia il libro che il capitano gli ha prestato. Lo annusa. Lo sfoglia. Capita di rado gli manchi il sonno; sarà l'assenza di lavoro massacrante. Vaga a caso tra i corridoi della Almost Home.
Almost Home... Ride da solo, ancora, con l'entusiasmo idiota di un ragazzino. Poggia il volume sul tavolo. Incrocia le braccia spesse dietro la testa.
Blackrock, Oracle. Deve finire il messaggio per Clem. E spedirlo; appena arrivato a Timisoara spedirle i soldi. Anche se Clem lo odia, quando lui le spedisce un messaggio prima di ricevere risposta al precedente. Forse sarebbe il caso di procurarle un pad. O un... holodeck? Aye, un holodeck. Non è possibile che ogni volta Clem debba aspettare la fiera a Mesquite. Lo perdonerà: le manda il doppio dei pesos: alla fine il cavallo non l'ha comprato. A che gli serviva un cavallo su Safeport? Le deve raccontare di Kay. Di Helena. Le deve raccontare di Andre. Le deve dire di quanto Hale gli ricordi Estebàn.
Bullfinch è in tumulto. Basta leggere le notizie.
Bullfinch è sull'orlo della rivolta.
Stropiccia la faccia.
Deve finire il messaggio per Clem e chiederle di spedirgli il browncoat.
Domattina, domattina. Le ciglia carezzano gli occhi blu di Bolivar. Si addormenta nella vaghezza di un'esaltazione ingenua, stremata, pulita. Spende gli ultimi scorci di coscienza in istantanee confuse. Quando crolla si sta giusto immaginando come sia spostare una mandria; e domandando se Jack sia il diminutivo di Jacqueline Rooster.


"Il nostro popolo, se imprigionano uno, è tutto in rivolta. Se incatenano un guerriero, tutti diventano guerrieri. Il nostro popolo avanza su un ponte di martiri ed eroi,  per abbracciare l'aurora luminosa, l'aurora della vittoria" (pag.25)